Il-Trafiletto
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05/06/14

LA PAROLA INQUINATA

RICONOSCERE CHI DICE IL FALSO
L'atteggiamento ingannevole:
La menzogna e l'inganno creano un senso di profonda amarezza nelle relazioni umane. La prima reazione è di stupore: «Perché mi ha mentito?». Vorremmo non trovarci in questa situazione ma succede, e allora è importante decodificare l'atteggiamento ingannevole tramite alcuni segnali:
*1. Fidarsi del «fiuto» iniziale; è una sensazione che non si può definire perché è intuitiva, ma qualcosa ci dice che non è vero.
*2. "Il tono della voce, l'espressione del viso e il modo di gesticolare possono essere sottili manifestazioni dell'inganno.
*3. Gli occhi ruotano un istante quasi per cercare qualcosa di nascosto.
*4. In genere chi sta per riportare un fatto non vero ha dei tentennamenti nella voce, esitazioni accompagnate da suoni paraverbali (ehrn, uhm ... ) o dà risposte evasive: «Non lo so», «non mi ricordo».
*5. Occorre fare particolare attenzione quando ci si trova nella trappola: «Domanda esplicita, risposta vaga». Le esitazioni, i giri di parole sono spesso i segni di un rapporto poco autentico. Reagire alla menzogna. Non esiste una ricetta facile. Le circostanze, le dinamiche, le motivazioni e le conseguenze della menzogna sono variabili. Se si tratta di un dipendente che abitualmente ricorre alla menzogna, forse la soluzione migliore è il licenziamento. Direi, però, di non drammatizzare nel caso di bugie non tipiche e non frequenti. Se la menzogna riguarda tuo figlio La situazione è diversa quando con un certa frequenza si ricorre alla menzogna nel rapporto familiare. Un genitore si interroga sul perché il figlio o la figlia mente; sarebbe utile capire a quali domande riceve risposte non autentiche. In questo modo il genitore, che desidera far apprezzare al figlio l'onestà e la sincerità, può rivalutare il proprio atteggiamento, in modo da non indurre il figlio a difendersi con la menzogna. Per concretizzare questo obiettivo propongo:
A Non indagare per sapere quello che è realmente accaduto ma mettere l'accento sulla prossima volta. «Hai fatto i compiti?», «Sì, ma ho lasciato il quadeno a casa di Roberto». «Vorrei vederlo domani. E' importante per me vedere i compiti così posso apprezzare meglio i tuoi progressi».


B. In caso di menzogne ripetute non attaccare il figlio ma mostrare la propria infelicità. Dire: «Sei un bugiardo!» anche se è una verità, è molto umiliante per un bambino. Sarebbe più opportuno condividere le proprie emozioni: «Mi sento deluso e confuso; ho chiesto di vedere i compiti perché desidero aiutarti negli studi. Ma forse nel mio modo di fare é qualcosa che non va?». Si può riprendere e correggere senza squalificare l'altro. Questo è il senso della «comunicazione ecologica».

C. Accompagnare il bambino nello svolgimento dei compiti fino a che non diventi un'abitudine. Dire semplicemente: «Vai a studiare!», è un modo autoritario di risolvere il problema. Il genitore che cerca il dialogo si chiede se ha fatto tutto il possibile affinché il figlio impari a essere competente. Quando c'è una comunicazione aperta, fatta con calore, si ricorre sempre meno alla menzogna.
Prof. Jerome Liss Psichiatra, psicoterapeuta, fondatore della Scuola di Biosistemica

10/04/14

Il messaggio dentro alla bugia | Il piccolo "pinocchio"

Il piccolo "pinocchio"

I bambini, soprattutto piccoli, mentono per incapacità di discernere il falso dal vero o per difesa? Giudicarli con il metro,della morale degli adulti, non solo è sbagliato, ma non ci aiuta a comprenderli 

Una bugia è un'affermazione falsa, una dichiarazione che nasconde la verità per trarre altri in errore, di solito a proprio vantaggio. Nel caso in cui una bugia venga detta da un bambino, però, occorre tenere conto del fatto che il confine fra fantasia e realtà è, almeno fino ai 4-5 anni, assai labile. Un bambino fa cadere una tazza e questa si rompe. «Non sono stato io!" è la tipica protesta del piccolo colpevole colto in flagrante e che lascia indispettiti gli adulti; «non volevo farlo» è la giustificazione del bambino che riesce più accettabile agli adulti. In questi due casi possiamo pensare che i due bambini abbiano età diverse: il primo, più piccolo, è ancora immerso in una specie di procedimento magico di pensiero mentre il secondo, più grandicello, attraversa una fase in cui comincia a capire la differenza fra azioni e intenzioni.

Questa distinzione è importantissima per la nostra concezione della morale, delle regole, dei divieti, delle lodi e delle punizioni in una parola di ciò che è buono e cattivo Quindi il significato delle bugie cambia secondo l'età e dello stadio dello sviluppo psicologico del bambino. Fino a 4-5 anni il «pensiero magico», permette al bambino di modificare realtà spiacevoli che non è ancora in grado di fronteggiare. A questa età il piccolo è convinto che basti pensare o desiderare una cosa perché questa avvenga. «Non sono stato io a rompere la tazza» fa sì che il bambino stesso si autoconvinca di non essere stato lui a compiere quella cattiva azione. Così il giudizio degli adulti non deve essere semplicistico e basarsi solo sulle azioni osservabili, ma deve tener conto anche delle intenzioni. Il bambino di 4/5 anni sa che mentire è sbagliato, ma questa idea è indotta soprattutto dalle reazioni negative dei genitori di fronte alla scoperta della bugia e non tanto dall'effettiva consapevolezza del perché mentire sia male. Inoltre il bambino tende a considerare una bugia tutto ciò che non corrisponde a verità e non solo ciò che viene detto con l'intento deliberato di ingannare. Molto spesso il bambino dice le bugie per paura delle reazioni dei genitori e per timore di perdere il loro amore soprattutto se sa di aver fatto qualche guaio. Meglio quindi sorvolare sulle prime bugie e dimostrare, piuttosto, al piccolo bugiardo che l'amore e la stima dei genitori restano in ogni caso immutati anche dopo una marachella. La vita immaginaria del bambino, così fervida a questa età, che comprende non solo le bugie in senso stretto ma anche un vasto repertorio di racconti fantastici e incredibili, non va ostacolata ma osservata attentamente e, ancora una volta, capita. I bambini attraverso questi racconti e, qualche volta, attraverso le bugie (soprattutto quelle che non sono dirette a evitare una sgridata o una arrabbiatura da parte di mamma e papà), ci comunicano le loro paure, i loro desideri, ci rivolgono, indirettamente, domande che non saprebbero altrimenti come formulare. Dopo questa prima fase, e quindi a partire da circa sei anni di età diventa importante proseguire quel processo educativo finalizzato a fornire al piccolo gli strumenti per comprendere e interiorizzare i valori della sincerità e della reciproca fiducia. Dall' età di circa otto anni il bambino diventa molto più abile sia a mentire deliberatamente sia anche a cogliere quei segnali che indicano una mancanza di sincerità da parte-degli adulti; -e impara a distinguere i vari tipi di bugie: dalle bugie di «convenienza» a quelle, più «gravi", che minano più in profondità i rapporti di fiducia con gli altri. Come sempre appare fondamentale, accanto all'assunzione da parte dei genitori di atteggiamenti di fermezza nei confronti del «piccolo bugiardo» naturalmente consoni all'età del bimbo, fornire un buon esempio. È cioè bene che i genitori evitino di dire bugie e costruiscano quotidianamente in famiglia un clima di reciproca fiducia che comprenda tutti, grandi e piccoli.
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