Il-Trafiletto
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02/09/14

Rompicapo quantistico

Il flusso del tempo è solo una comoda illusione che si può sostituire con i calcoli. A metà degli anni Sessanta il fisico teorico statunitense John Wheeler e il suo collega Bryce DeWitt decisero di vedere che risultati si potevano ottenere applicando la teoria più riuscita di tutte le scienze, la meccanica quantistica, al Cosmo.


Anche se normalmente la si utilizza soprattutto per il mondo subatomico, può essere applicata, in linea di principio, a qualunque cosa, perfino al funzionamento su larga scala dell'Universo. Wheeler e DeWitt riuscirono a ottenere un'equazione di una complessità spaventosa che, secondo la teoria quantistica, cattura la vera natura dell'Universo.

Ma l'equazione portò a una scoperta inattesa; di tutte le grandezze che conteneva, quella che si sarebbero aspettati tutti era semplicemente scomparsa: la "t" che rappresenta il tempo. "Secondo l'equazione di Wheeler-DeWitt, lo stato quantistico dell'Universo è congelato", spiega Smolin. "L'Universo quantistico è senza cambiamento: c'è e basta". Il contrasto con la realtà apparente non potrebbe essere più clamoroso. Gli astronomi sostengono che l'Universo sia cominciato con il Big Bang e si stia tuttora espandendo. Le stelle nascono e muoiono di continuo, e così noi. Chiaramente c'è qualcosa che non torna. Molti teorici hanno cercato un modo di far emergere quello che percepiamo come tempo dall'Universo "atemporale" descritto dall'equazione di Wheeler-DeWitt.

"Ho riflettuto su questi approcci", dice Smolin, "e rimango dell'opinione che nessuno di essi funzioni. Solo un radicale ripensamento del tempo può risolvere la crisi". Ma non tutti sono d'accordo. Alcuni pensano che l'equazione di Wheeler-DeWitt riveli la verità sul tempo, per quanto ci possa risultare indigesta. Tra loro primeggia il fisico teorico britannico Julian Barbour, professore dell'Università di Oxford. Ha lavorato sodo per decenni sul significato dell'equazione di Wheeler-DeWitt, ed è noto per il suo capolavoro del 1999 The End of Time (in Italia, pubblicato da Einaudi con il titolo La fine del tempo).

A differenza di Smolin, Barbour sostiene che le conseguenze dell'equazione di Wheeler-DeWitt sul tempo non si possano ignorare. Asserisce che l'Universo sia in realtà un'immane schiera statica di innumerevoli "adesso", sterminati fotogrammi di un film cosmico. In ogni dato istante, ogni "adesso", non serve tenere conto del tempo nelle spiegazioni sul funzionamento dell'Universo. Il senso del passare del tempo viene da come la nostra mente elabora ognuno di questi fotogrammi, o "capsule di tempo", come le chiama Barbour.

Il tempo, in sé, però, non esiste. Smolin è un grande ammiratore del lavoro di Barbour: "E il miglior tentativo di dare senso alla cosmologia quantistica", afferma. Ha addirittura incorporato alcune delle più recenti idee di Barbour tra le proprie. Ma secondo lui ha gli stessi limiti della altre teorie "atemporali" sull'Universo: ha difficoltà a formulare previsioni verificabili e non riesce a spiegare l'origine stessa delle leggi atemporali della fisica.(science)


21/10/13

Ecco cosa accade ad una galassia che crescendo si...spegne!

Ecco cosa accade ad una galassia che crescendo si...spegne! L’enigmatico interrogativo che è generato delle “galassie spente”, cioè il loro continuo crescere illusorio anche a formazione stellare ultimata, ha trovato una risposta grazie alla survey COSMOS del telescopio spaziale Hubble. Fra gli autori della scoperta, che verrà presto pubblicata su The Astrophysical Journal, figurano Marcella Carollo dell’ETH di Zurigo e Alvio Renzini dell’INAF, Osservatorio Astronomico di Padova. Esistono galassie, che durante il loro evolversi, arrivano ad uno stadio in cui il processo di formazione stellare finisce: in parole semplici, si spengono. Esiste un aspetto che da sempre lascia dubbiosi gli astronomi: le galassie spente visibili nel lontano passato, appaiono essere molto più piccole delle galassie spente dell’universo attuale. Come possono crescere, le galassie, se la loro formazione stellare si è conclusa? facendo uso di un’enorme raccolta d’osservazioni realizzata con il telescopio spaziale Hubble di ESA e NASA, un team internazionale di astronomi è adesso riuscito a dare una risposta a dir poco sorprendentemente semplice a questo enigma cosmico di lunga data.
Fino al giorno d'oggi si consideravano le grandi galassie spente vicine a noi, dunque anche più recenti, fossero la conseguenza della crescita di quelle più piccole, anch’esse per cosi dire "morte", osservabili nel passato del cosmo. Trattandosi però di galassie nelle quali non si sta avendo più la formazione di nuove stelle, la loro crescita si credeva fosse dovuta a processi di collisione e fusione con altre galassie spente più piccole, di massa fra le cinque e le dieci volte inferiore.
Galassia spenta

Simili processi di fusione compoterebbero però la presenza d’una enorme quantità di queste piccole galassie, per dar modo alla popolazione delle galassie inattive di pasteggiare, presenza che però non si riscontra.
«L'apparente lievitare delle galassie inattive è stato per molti anni uno fra i più grandi quesiti irrisolti dell’evoluzione galattica», afferma Marcella Carollo dell’ETH di Zurigo, prima autrice di un articolo su queste galassie in corso di pubblicazione su The Astrophysical Journal. «Prima della survey COSMOS di Hubble, nessuna fra le raccolte d’immagini disponibili era ampia a sufficienza da permetterci di studiare un grande numero di galassie esattamente allo stesso modo», aggiunge uno dei coautori, Nick Scoville del Caltech (USA). Ora per la prima volta, grazie alle osservazioni realizzate nel corso della survey COSMOS con il telescopio spaziale Hubble, gli astronomi sono stati in grado di identificare e conteggiare le galassie inattive lungo ben otto miliardi di anni di storia cosmica. Il team ha utilizzato l'ampia raccolta d’immagini di COSMOS, integrandola con osservazioni realizzate con i due telescopi Canada-France-Hawaii e Subaru, entrambi alle Hawaii, per dare uno sguardo indietro nel tempo fino a quando l'universo aveva meno della metà della sua età odierna. La porzione di cielo studiata si estende su un’area pari a quasi nove volte quella della Luna piena.
Le galassie inattive risalenti a quell’epoca appaiono piccole e compatte, e sorprendentemente sembrano rimanere tali. Invece di lievitare e crescere attraverso fusioni nel corso del tempo, queste piccole galassie mantengono per lo più le dimensioni che avevano quando la formazione stellare si era conclusa. Ma allora perché pareche con il passare del tempo diventino sempre più grandi?
«Abbiamo scoperto che molte delle galassie più grandi, in realtà, si sono spente tardi, in epoche successive, andando poi a raggiungere le sorelle inattive più piccole e dando così l’impressione, erronea, d’una crescita delle singole galassie nel corso del tempo», nota Simon Lilly, anch’egli dell’ETH di Zurigo.
«È stato un po’ come accorgersi che l’aumento della dimensione media degli appartamenti d’una città non era dovuto all’aggiunta di nuove stanze ai vecchi edifici, bensì alla costruzione d’interi nuovi appartamenti più grandi di quelli precedenti», spiega Alvio Renzini dell'INAF, Osservatorio Astronomico di Padova. Questo ci dice molto su come le galassie si sono evolute nel corso degli ultimi otto miliardi di anni di storia dell'universo. «La risposta all’enigma offerta dal nostro studio è sorprendentemente semplice e ovvia. Ed è ogni volta una grande soddisfazione riuscire a cogliere la semplicità in mezzo all’apparente complessità della natura», conclude Carollo.
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