01/09/14

Un giorno le nostre vite s'incontreranno ancora libere da Luoghi e Nomi | LE TRE VIE

LE TRE VIE
Dal 1789 va crescendo in Europa lenta lenta la diffusione del pensiero indiano, con retrocessioni periodiche seguite da avanzamenti appena maggiori. La filosofia nata dall'induismo e dal buddhismo dilaga e qualcosa la rende più ammaliante della tradizione d'origine greca. O forse no? Soltanto un'assimilazione almeno parziale potrebbe consentire una risposta, ma come ottenerla? Credo che si possa procedere, come per ogni impresa, o per uno o per tre. Per uno: ci si può immergere nello yoga, che quasi tutti credono di conoscere e fors'anche d'aver praticato, ma che in Europa è pressoché ignoto, nonostante l'impeccabile esposizione che Eliade ne fece. Noi si deforma in ginnastica l'arte indiana per eccellenza, sconosciuta altrove. Essa fa accedere al cuore di ogni scuola filosofica non mercé parole, ma attraverso un adattamento sia corporeo che spirituale, integro.

Invece che sull'ascolto di frasi gioca su sforzi muscolari, respirazioni, torsioni del corpo, educando inflessibilmente nervi, tendini, carni, fino a regolare in armonia ormoni, sentimenti, meditazioni: fino a liberare, a far raggiungere uno stato in cui ci si distingue dal corpo e dai pensieri, diventando divini (adhyatmayoga), con divina serenità (atmaprasada). Dall'unico yoga si diparte ogni scuola indù, anche se dovremo aspettarci, conoscendo l'India, di vedere confutata quest'opinione nientemeno che dal metafisico sommo, Sankara. Infatti dello yoga si può anche fare a meno. Scrisse Pessoa nel poemetto In un paese d'estate del volume "Il violinista pazzo": Un giorno, quando il tempo sarà cessato, le nostre vite s'incontreranno ancora, libere da Luoghi e Nomi.
Non resterà altro di ciascuno di noi che potrà sembrare naturale in quel Giorno. Là, a quel giorno, il maestro di yoga desidera trasporci: a un punto non situato però dopo la morte, ma presente, anche se inesteso, esente da luoghi e nomi, fatto di pura attenzione.

Ma esiste un metodo diverso, triadico, che si può anche interpretare come una classificazione di tre tipi umani: il razionale, il sentimentale, e chi è immerso in una vita da cui si sia strappata ogni teodicea. In tre maniere distinte si accede alla liberazione. La prima è la quiete assoluta: si oblia interamente la persona alla quale ci illudiamo di appartenere. Il sentimento esuberante che tocchi il massimo dell'intensità anch'esso ci spinge a liberarci. E la furia della passione al suo apice offre l'identico affrancamento. Chi percorre una sola delle tre vie rifiuta di ammettere le altre: chi pensa in modo rigoroso esclude che la piena dei sentimenti porti alla stessa meta e ancor più che la passione scandalosa conduca esattamente, con altrettanta efficacia, dove egli si trova. Ma nell'insieme delle sue filosofie l'India impartisce l'istruzione necessaria per ammettere tutt'e tre le strade alla liberazione; vi si conia la leggenda secondo cui Sankara, per conoscere l'amore, s'incarnò mercé lo yoga nel corpo di Amaruka, il re poeta, e così scrisse poesie dove la non-dualità e l'esperienza d'amore sono tutt'uno:
Sulla terrazza del palazzo [o nel tempio] lei [o la cosa o l'oggettività] e dovunque lei, alle spalle lei, . davanti lei, sul letto lei e in ogni strada lei; malato di separazione da lei, anima mia, non c'è altra forma [o natura] per me se non lei, lei, lei, lei, lei nel mondo intero: questo sarebbe non essere due? 
Forse questi versi potranno conciliare almeno la via del conoscere e quella del sentire. La conoscenza intellettiva (jnana) e la fede o follia religiosa (bhakti) si distinguono sì nitidamente, tuttavia, disgiunte e divergenti come sono, guidano al medesimo esito, entrambe si protendono ugualmente alla liberazione. Kakuzo Okakura, un pensatore giapponese in stretto contatto con i condottieri della rinascenza bengalese del primo dopoguerra, desiderava insegnare ad abbracciare in un unico prospetto l'intera storia dell'Oriente diceva che a Sankara, maestro di ragione e rigore, per forza dovevano seguire Ràmanuja e Caitanya, maestri d'afflato, come in Giappone alle scuole razionali buddhiste non potevano che succedere gli ammaestramenti all'abbandono di fronte alla luce infinita di Amida. Chi rifletta sulla concordia finale dei due atteggiamenti contrapposti, conoscenza e fede, alla fine li saprà considerare equivalenti.
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