Vi chiederete come funziona, in che modo riesce a dare previsioni riguardo i disastri sopracitati: semplicemente mescolando insieme tutta una serie di dati: da quelli storici, alle informazioni fornite da radar a terra, proseguendo per le informazioni dei satelliti in orbita, includendo, chiaramente, anche i dati forniti dai pluviometri! A mettere a punto questo algoritmo a tutt’oggi in fase sperimentale, ma che ha già dato prova di enormi capacità di previsione, è stato Nicola Casagli del dipartimento di Scienze della terra dell’università di Firenze.
Dissesto idrogeologico |
Mhig lavora esattamente in questa direzione. Si tratta di un algoritmo che rientra nel contesto del sistema nazionale di allertamento per il rischio idrogeologico della Protezione civile, che lo ha già utilizzato con successo in modalità pre-operativa. Quello di Firenze che lavora con Mhig è solo uno dei centri di ricerca che collaborano al sistema, specializzato appunto nel rivelare il rischio frana, come spiega a Wired lo stesso Casagli. “Il nostro algoritmo si basa due moduli principali: uno acquisisce i dati relativi alle precipitazioni piovose e le previsioni meteo su tutta Italia, suddividendo la penisola per macroaree, circa 100 in base alle caratteristiche geologiche”, continua il ricercatore: “Ogni area ha una sua soglia di pioggia caratteristica, determinata come la quantità di precipitazione che in passato ha causato delle frane”.
L’altro modulo invece è un aggregatore di notizie di frane, che mette insieme i dati storici con quelli attuali, pescandoli dal web ogni 15'. “Questo aggregatore funziona in maniera molto precisa: depura le notizie secondo una logica semantica e successivamente le georeferenzia, ovvero le abbina a un database di milioni di località italiane, localizzando con precisione nello spazio e nel tempo l’avvenuta frana”. In questo modo, combinando insieme i dati relativi al passato, più o meno recente, con quelli del presente, riguardo previsioni e precipitazioni, la soglia pioggia per ogni regione viene continuamente rimodulata, affinata, attraverso un sistema che impara da solo, “Questo ci permette anche di ridurre i falsi allarmi e di migliorare continuamente il sistema”. Un meccanismo del genere però, continua Casagli, permette di generare degli allarmi e quindi azzardare previsioni solo su aree relativamente grandi, senza notevole precisione.
Per un sistema di allerta più preciso è necessario installare a terra anche degli strumenti di monitoraggio, come radar in grado di misurare e registrare gli spostamenti del suolo ogni cinque minuti. “In questo modo, laddove vengano ravvisate anomalie vengono fatte delle previsioni e lanciati gli allarmi”, spiega il ricercatore. Al momento circa una quindicina di siti, aree speciali, sono sotto questo tipo di controllo dell’Università di Firenze (altri centri italiani infatti collaborano al progetto, e ciascuno ha in custodia delle diverse zone).
Aree considerate speciali o per l’elevato rischio idrogeologico associato, o per la presenza di importanti beni culturali o ancora per l’elevata densità di popolazione. Le previsioni effettuate su queste aree, grazie alla strumentazione a terra, sono molto precise, riguardano la singola frana. Un esempio? “Il caso dell’Isola d’Elba”, conclude Casagli, “Lì, solo pochi giorni fa il nostro sistema aveva avvisato delle anomalie e lanciato l’allarme. Una strada è stata così transennata e il giorno dopo effettivamente c’è stata una frana”.