Il-Trafiletto
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07/10/14

Biodiversità in pessimo stato, lo confermano le Nazioni Unite

Il WWF aveva diffuso i dati realtivi alla perdita della biodiversità nel mondo, e la conferma definitiva arriva dalle Nazioni Unite che in Corea del Sud, da oggi fino al 17 Ottobre, stanno conducendo i negoziati annuali della  Convenzione sulla diversità biologica.  Il nuovo rapporto è Global biodiversity outlook 4. Quest’anno spazio anche alla prima conferenza delle parti del Protocollo di Nagoya, entrato in vigore a luglio dopo quattro anni e la ratifica di più di 50 paesi. Il solito ritardo nel mettere in pratica qualcosa di buono.


Certo non vi suonerà nuova la notizia che i governi e i paesi che hanno aderito alla Cdb non stanno facendo abbastanza per rallentare il tasso di perdita di habitat, ridurre l’inquinamento e fermare lo sfruttamento incontrollato delle risorse presenti nei mari e negli oceani. A quasi metà percorso dalla scadenza degli obiettivi (2011-2020) fissati in Giappone nel 2010 durante la decima conferenza della Cdb, la realtà sembra essere più dura del previsto. Dei 56 punti accettati dai paesi che hanno ratificato il Protocollo (noti come target di Aichi), solo cinque potrebbero essere rispettati, mentre 33 hanno fatto registrare progressi non sufficienti per onorare la scadenza del 2020.

Il rapporto è chiaro: “il rischio medio di estinzione di uccelli, mammiferi, anfibi e coralli non ha mostrato segnali di riduzione” mentre “il tasso di deforestazione, seppur in leggero calo, continua ad essere allarmante”. Il segretario esecutivo della Convenzione, Braulio Ferreira de Souza Dias conferma la preoccupazione sul fatto che gli stati non stiano facendo abbastanza: “Tutti gli indicatori suggeriscono che lo stato della biodiversità è in continuo peggioramento e ha bisogno di interventi urgenti”. Il Living planet report 2014 del Wwf contiene un dato che ha sconvolto biologi ed esperti in tutto il mondo: la fauna selvatica ha perso più di metà della sua ricchezza tra il 1970 e il 2010 a causa di inquinamento e distruzione degli habitat naturali. Un dato molto più alto, e quindi grave, di quanto si pensasse finora.

Ma non sono certo questi argomenti interessanti quanto le  tette di qualche conduttrice televisiva vero?

11/09/14

Combattere lo stress: in Corea si può dormire in prigione

Per combattere lo stress ci sono innumerevoli soluzioni, se ne parla sempre di più, il mondo stesso è stressato. Ma di solito ci si orienta su metodologie come la meditazione, i massaggi, l'uso degli oliessenziali, il contatto con la natura, l'allontanamento dalle teconologie che sono una vera e propria ossessione. 

Ma in Corea del Sud, il metodo più un voga è quello di dormire in prigione, idea per altro che credo a noi occidentali non farebbe altro che aumentare il livello di stress.  Invece in Corea la proposta ha avuto un enorme successo per provare questo insolito modo. Il trattamento è offerto da un centro di Hongcheon, a circa 70 Km a nord-est di Seul. Il centro si chiama “La prigione dentro di me”, ed è idea di un ex-avvocato, Kwon Yong-seok, che spiega: “Non sapevo come fare a prendermi una pausa dal lavoro, al tempo, e mi sentivo come spinto contro la mia volontà, senza essere in grado di controllare la mia vita”.

La prigione di Hongcheon
immagine presa dal web
Perciò ha deciso di provare a passare qualche tempo dietro le sbarre: ha chiesto ad un amico direttore di un carcere di fargli passare una settimana in prigione. La richiesta è stata rifiutata, ma Kwon ha deciso di prendere la situazione in mano e costruire la sua personale prigione per lui e tutti quelli che hanno bisogno di “staccare la spina” e combattere lo stress. L’idea ha avuto subito molto successo, tanto da consentire a Kwon di raccogliere da parenti e amici i 19 milioni di dollari necessari per la costruzione dell’edificio.

Ai clienti (che come prima cosa devono spegnere i cellulari), viene consegnata l’uniforme da indossare al momento dell’arrivo, e poi vengono portati in una delle piccole stanzette (meno di 6 metri quadri) dotate solo di un bagno, un lavandino e un piccolo tavolo. I pasti sono serviti tramite uno sportellino nella porta. La permanenza degli ospiti è di soli due giorni: nell’idea originale di Kwon, il periodo di prigione avrebbe dovuto essere più lungo, ma la gente non era disposta a staccare per troppi giorni dal lavoro.

Hanno anche dovuto introdurre una “pausa” giornaliera in cui i “prigionieri” possono consultare i loro telefoni: “La gente diventa nervosa senza telefono, e si preoccupa troppo di possibili emergenze, che non capitano quasi mai”. Ad ogni modo, i clienti si dicono soddisfatti dell’esperienza, che dà loro modo di riflettere e prendersi una pausa e riflettere su se stessi, che è appunto il punto centrale dell’esperienza: “Ogni tanto bisogna camminare all’indietro per vedere la strada che si è fatto. La gente lo fa raramente, e pensa solo alla strada di fronte a loro, ma bisogna anche guardarsi dietro”.
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