Nicholas Flamel, un alchimista del XIV secolo, vide la sua luce guida come un angelo, che gli apparve mentre era profondamente addormentato e gli mostrò un volume antico, molto bello, dicendogli che un giorno ne avrebbe compreso il contenuto. In seguito vide quello stesso libro esposto in vendita e scoprì che si trattava di un antico manoscritto di alchimia. Una delle storie alchimistiche più curiose in cui l'aspirante ricerca una guida è opera di Bolo, un alchimista greco. Bolo racconta che il suo maestro Ostanes era morto prima di poter completare la sua istruzione. Bolo decise di invocare lo spirito del suo valente maestro e, quando vi fu riuscito, gli chiese ulteriori insegnamenti alchimistici. Ostanes rimase in silenzio mentre gli veniva rivolta questa supplica e scelse di parlare solo quando il suo discepolo si rivolse a lui in maniera più rispettosa; disse allora a Bolo: «I libri si trovano nel tempio». Bolo e i suoi compagni di studio perlustrarono il tempio da cima a fondo, ma non trovarono nulla.
Dopo un certo periodo di tempo, essi stavano banchettando nel tempio, quando improvvisamente una delle colonne si spaccò a metà. Corsero a vedere se vi fossero nascosti i sacri volumi, ma trovarono solamente una semplice iscrizione che recava la formula: "Una natura si compiace di un'altra natura, una natura conquista un'altra natura, una natura domina un'altra natura». Questo, disse Bolo, forni loro la chiave dell'alchimia; anche gli alchimisti delle età successive tennero in considerazione questo precetto. I racconti alchimistici mostrano con evidenza che la Grande Opera era considerata di origine divina, e per questo motivo si riteneva necessario che fosse un saggio, vivo o morto, ad impartire l'insegnamento, oppure una visione diretta che poteva servire di base per il lavoro. Non ci si deve meravigliare molto dunque se si trovano tra i fondatori dell'arte dèi, dee, saggi della Bibbia o della mitologia. Forse la suggestione più potente è quella per cui Dio diede «il filtro» ad Adamo, che lo passò a pochi eletti i quali se lo sono tramandato in successione.
All'origini dell'alchimia, circolava l'opinione, implicitamente espressa, che la conoscenza perfetta dell'alchimia si potesse trovare nascosta in un libro molto speciale o inscritta su una colonna di un certo tempio. In qualche caso si credette che il testo più importante di tutti i testi fosse nascosto nella tomba di un re. Dal XV al XVII secolo, gli alchimisti europei rimasero concentrati su questa tematica, espressa come ricerca costante dell'unico libro veritiero, fra le miriadi di libri falsi e ingannevoli esistenti, da parte dello studioso. È il mito della conoscenza perfetta, un tempo nota e ormai pressoché perduta, tuttavia presente in qualche luogo oscuro, segreto o appartato. Senza l'intervento del Volere Divino, però, non è mai possibile attingere a tale conoscenza: «La nostra arte, nella teoria così come nella pratica, è sempre e comunque un dono di Dio, il Quale la elargisce a chi vuole e quando Egli vuole ... Sebbene io abbia studiato con attenzione e cura questa Arte per diciassette o diciotto anni, ho dovuto comunque aspettare il tempo stabilito da Dio, ed accettarlo come un libero dono. Nessuno deve porre in dubbio il fondamento saldo, vero e certo di quest'Arte. E tanto vera e certa, sicuramente come Dio l'ha ordinata nella natura, quanto lo sfavillio del sole a mezzogiorno e il quieto splendore della luna a mezzanotte».
Dai secoli più tardi dell'alchimia, specialmente dal XVI e dal XVII, ci sono giunte meno descrizioni dirette di visioni; questo è probabilmente dovuto al fatto che in tale periodo gli scrittori dediti all'alchimia si preoccupavano di inserire i loro discorsi in un contesto filosofico. Purtuttavia la qualità visionaria continuò ad esistere e fu spesso deliberatamente introdotta sotto forma di parabole ed allegorie, come nel testo Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz. O in A Subtle Allegory concerning the Secrets of Alchemy [Una sottile allegoria riguardante i segreti dell'alchimia] di Michael Maier, che venne descritta - una volta tanto sinceramente - come «assai utile da possedere e piacevole da leggere ». Vi si racconta la storia di un viaggiatore che va alla ricerca della Fenice miracolosa, in grado di mutare il dolore fisico e l'angoscia in oro. Alcune delle famose sequenze di immagini visive e commentari, come il Book of Lambspring, conservano intatta la qualità fresca e spontanea del simbolismo onirico.

«Vidi dunque quando si svegliarono [il Cristiano e Speranza] che si esortavano vicendevolmente a salire verso la città. Ma, come dissi, il riflesso del sole sulla città (poiché la città era di oro puro ...) era così superbamente glorioso, che i loro visi non potevano sostenerlo, se non utilizzando uno strumento atto allo scopo. Vidi perciò che, mentre essi salivano, due uomini erano pronti ad attenderli, rivestiti di raggi splendenti come l'oro, e anche le loro facce brillavano come la luce ...»,